Alcune considerazioni sulla regolamentazione delle criptovalute

Una condanna senza appello delle criptovalute non rende giustizia a uno strumento il cui ruolo, limiti e potenziali vantaggi andrebbero invece approfonditi e, possibilmente, normati per limitarne la volatilità e ridurne i rischi.

Pochi giorni fa, nella prima puntata del 2018 della trasmissione televisiva “Roma InConTra”, il Direttore Generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi ha affermato: “I bitcoin non sono monete, ma aggeggi speculativi. Il loro valore sale e scende solo in seguito di movimenti speculativi. Non sono sistemi di pagamento, né niente di ciò. Piuttosto, assomigliano a degli ufo”. Per quanto comprensibili, le preoccupazioni del Direttore Generale circa i rischi individuali e sistemici generati dalle criptovalute meriterebbero forse un dibattito più costruttivo e più approfondito circa il loro ruolo, i limiti e i potenziali vantaggi che offrono. Il fenomeno sociale che sta dietro le criptovalute è complesso e multiforme e va indagato con un approccio adeguato, cercando in primo luogo di analizzare i vantaggi tecnologici e pratici che le criptovalute oggi mettono a disposizione innanzitutto degli utenti e in secondo luogo di immaginare quali possano essere le infrastrutture normative, amministrative e finanziarie necessarie per consentire a questo nuovo strumento di dispiegare tutte le sue potenzialità. Limitarsi a sostenere - come fa Rossi - che “purtroppo non esiste un’autorità mondiale in grado di bloccare il Bitcoin e ad oggi ci vorrebbe un accordo tra tutti i paesi, nessuno escluso, altrimenti sarebbe inefficace” sembra, piuttosto, una condanna senza appello da parte dell’autore del saggio “Oro”, edito poche settimane fa dal Mulino. L’impressione, tuttavia, è che le criptovalute siano qui per restare e (una volta disciplinate ed attratte nel sistema bancario) per fornire un nuovo paradigma di denaro.

La nozione (sfuggente) di criptovaluta

Cosa sia un bitcoin o, più in generale, cosa siano le criptovalute è probabilmente una delle domande più diffuse del momento e, nonostante ciò, la risposta rimane spesso vaga, normalmente multiforme e invariabilmente sfuggente. La nozione giuridica di criptovalute è strettamente connessa alle analisi e alle classificazioni che devono essere fatte dal punto di vista del fenomeno sociale ed economico. Detto questo, è necessario prima di tutto riconoscere che non esiste nella giurisdizione italiana una definizione soddisfacente della categoria “valuta”. Esiste la definizione di “valuta avente corso legale”, ma non ne esiste una generale di “valuta”. La liberalizzazione valutaria delle ultime decadi del secolo scorso ha, tra l’altro, prodotto una evidente riduzione di interesse per i concetti di valuta, denaro, moneta e anche di valuta estera. La conseguenza immediata è che la definizione stessa di valuta legale poggia oggi solo sulla nozione condivisa del fenomeno economico sociale che si intende rappresentare. Così ricavata, è evidente che una siffatta definizione è profondamente messa in crisi dall’emergere di nuovi strumenti quali le criptovalute. In altri termini, se prendiamo le categorie finora esistenti di valute (valute fiat, vale a dire le valute a corso legale, valute merce, valute convertibili in oro etc.), è quasi impossibile far rientrare le criptovalute in ciascuna di esse senza forzature di sorta.

Mezzo di scambio

Come noto, gli economisti assegnano alle valute diverse funzioni; è valuta o denaro ciò che assume le funzioni di mezzo di scambio, unità di conto, oppure riserva di valore. L’oro, ad esempio, è sicuramente una riserva di valore e talvolta un mezzo di scambio. Non è, viceversa, normalmente utilizzato come unità di conto. Se questo è il dato di partenza, è necessario domandarsi se le criptovalute siano in grado di soddisfare tutte le funzioni normalmente assegnate alle valute. In effetti, è difficile mettere in dubbio che le criptovalute quali il bitcoin siano in grado di funzionare come mezzo di scambio. Il loro vantaggio rispetto alle valute fiat sta proprio nella immediatezza e nella tracciabilità dei trasferimenti, il che si traduce in una più pronunciata capacità di fare fronte alle necessità degli scambi commerciali di quella che hanno le valute tradizionali.

Unità di conto

Allo stesso modo, il bitcoin può funzionare facilmente come unità di conto, avendo una struttura identica a quella delle valute fiat. Oggi esistono persino i sottomultipli del bitcoin, i quali al pari dei centesimi e dei penny, costituiscono una frazione del bitcoin più comoda per la gestione di ammontari ridotti. In ogni caso, la diffusione di quotazioni e infrastrutture di scambio in grado di consentire in continuo la convertibilità in altre valute certamente rende le criptovalute efficaci unità di conto in grado di sostituirsi, laddove occorra, alle valute tradizionali.

Riserva di valore

Per ciò che concerne la funzione di riserva di valore, infine, il problema è parzialmente più complesso. Per riserva di valore intendiamo la capacità di un bene di mantenere il proprio valore nel tempo in modo da consentirne la spendibilità futura. Ovviamente, tutti i beni e le merci deperibili o soggette a obsolescenza non possono rappresentare una riserva di valore. Al contrario, tipicamente, i metalli (e in particolare modo quei metalli dotati di particolare resistenza come l’oro) costituiscono l’archetipo del bene - riserva di valore. Da questo punto di vista il bitcoin, come tutte le valute fiat, non subisce le ingiurie del tempo e non invecchia nel senso fisico del termine a causa della perdita delle sue proprietà.

Volatilità e speculazione

D’altra parte, è anche vero che le quotazioni delle criptovalute come il bitcoin hanno sinora dimostrato un alto grado di volatilità dovuto a fenomeni speculativi di massa in connessione con la scarsità del bitcoin stesso rispetto alla domanda. La gran parte degli economisti ritiene a tutt’oggi che il bitcoin sia oggetto di una bolla speculativa paragonabile alla famosa bolla olandese dei tulipani del XVII secolo. Tuttavia, non sembra agevolmente dimostrabile che la volatilità dei prezzi costituisca una qualità intrinseca delle criptovalute. Le bolle speculative nascono tipicamente da fenomeni di speculazione operata da investitori che seguono in modo istintivo e non consapevole i trend rialzisti che si formano sui mercati senza comprenderne le ragioni e possono interessare qualunque tipo di bene se la massa di investitori lemming che vi si approccia intravede la possibilità di arricchirsi con essi, senza analizzarne in modo critico le ragioni del momentaneo successo e le possibilità di declino future. Sostenere la necessità dell’abolizione delle criptovalute per la loro attuale instabilità e per le bolle speculative che oggi le interessano equivale un po’ a sostenere la necessità dell’abolizione dei tulipani nel XVII secolo.

L’assenza di framework causa volatilità?

Più correttamente, non sembra agevole dimostrare che un approccio più corretto e costruttivo delle istituzioni finanziarie a questa tipologia di asset, unito a una regolamentazione che imponga un grado di trasparenza pari a quella di altri strumenti, non sarebbe in grado di rendere più stabile il potere d’acquisto delle criptovalute. Ci si potrebbe chiedere, viceversa, se la asserita pericolosità del bitcoin non sia conseguenza dell’assenza di un framework giuridico adeguato che consenta di utilizzare questo strumento in modo sicuro e consapevole.

I vantaggi delle criptovalute…

Detto questo, è bene tenere a mente che i vantaggi oggi offerti dalla tecnologia dei bitcoin consistono, tra le altre cose, nell’immediatezza e nella trasparenza delle operazioni (provate a pensare ai tempi di effettuazione e di verifica di un normale bonifico bancario, tra giorni di valuta e accessibilità dei registri bancari); nella loro economicità (le commissioni per il trasferimento di somme di denaro sono normalmente una frazione delle commissioni bancarie); nella eliminazione del rischio banca (se le banche falliscono, i nostri risparmi prendono il volo).

… e gli attuali svantaggi

Ovvio che, attualmente, l’assenza (a) di normative antiriciclaggio adeguate, (b) di guidelines appropriate sulla sicurezza informatica per chi offre in via professionale servizi su criptovalute, (c) di regolamentazione sull’anonimato/pseudonimato di chi opera su criptovalute, (d) di normativa fiscale ad hoc e, soprattutto, (e) di regolamentazione (forse anche bando) delle pericolosissime ICO (Initial Coin Offer), costituisce, da un lato, un fattore di pericolo per chi si avventura per quei mari e, dall’altro, un ostacolo allo sviluppo corretto di uno strumento promettente.

Perché bisogna regolamentare le criptovalute

Se si concorda sul fatto che le tre funzioni del denaro di Jevons, così come descritte dallo stesso Rossi nel suo saggio citato nelle pagine precedenti, sono soddisfatte dai bitcoin (o possono esserlo se si costruisce un’adeguata infrastruttura giuridica), allora si deve necessariamente concludere che non solo non ha senso dolersi del fatto che le criptovalute non possano essere bloccate con un intervento pubblico, ma è anche pericoloso indugiare nel mettersi al lavoro per costruire una regolamentazione efficace che sia in grado di contenere sia i rischi sistemici generati dall’impatto con l’ecosistema finanziario di una nuova tecnologia non controllata dalle banche centrali che i pericoli per chi le utilizza. Giappone, Cina e Corea del Sud hanno già iniziato a muoversi in questo senso con provvedimenti ad hoc su alcuni temi più spinosi legati alle criptovalute quali ICO, regolamentazione degli intermediari e temi legati all’anonimato. La possibile prossima apertura ai bitcoin da parte dei giganti della distribuzione sul web per gli acquisti online – Amazon ed eBay parrebbero essere in prima fila - rischia di rendere il ritardo nella disciplina del fenomeno ancor più preoccupante.