LO USA IL 5% DEI CLIENTI

Tutti gli ostacoli che frenano l’open banking: parlano Tink, Fabrick e Mia Fintech

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Da sx: Bruno Natoli, CEO di Mia-FinTech, Giulio Rattone, CIO di Fabrick, Marie Johansson, Country Manager di Tink in Italia

Cosa rallenta l’adozione dell’open banking in Italia? Per Fabrick, Mia-FinTech e Tink è la combinazione di tanti elementi: culturali, tecnologici e anche normativi

Barriere tecnologiche, un’offerta limitata, alti costi di investimento, lacune regolamentari, API bancarie di scarsa qualità e customer experience poco soddisfacente. Non sono pochi gli ostacoli che stanno frenando l’adozione dei servizi di Open Banking nel nostro Paese. Che resta indietro rispetto al resto d’Europa.

Poca offerta, alti costi

Un ritardo confermato dal Report di CBI e PwC (The Global Open Banking Report): se i servizi di internet banking sono ormai entrati nelle abitudini dei clienti bancari (il 60% li usa attivamente), quelli di Open Banking non hanno preso piede, tanto da essere usati solo dal 5% della clientela. La motivazione è legata a una «offerta limitata di nuovi servizi – spiega Bruno Natoli, CEO di Mia-FinTech – da parte degli istituti di credito, ai costi di investimento necessari per diventare protagonisti di questo mercato e alle barriere tecnologiche che frenano la competitività».

API: serve più uniformità

Problematiche e frizioni che ricadono sulla user experience, poco efficace sia nell’accesso ai conti, sia nelle operazioni di pagamento. «Alla base – afferma Giulio Rattone, CIO di Fabrick –, c’è una mancanza di maturità tecnologica delle API esposte dalle banche: l’authority sta intervenendo con diverse iniziative per sollecitare un adeguamento e portare a una maggiore uniformità. Ma la situazione è in miglioramento e prevediamo una forte accelerazione una volta smarcato questo aspetto».

I freni normativi...

Diversi gli ostacoli da superare anche dal punto di vista normativo. «La spinta regolamentare della PSD2 è stata fondamentale per dare il via al processo di trasformazione e digitalizzazione del mercato bancario – continua Natoli. Il percorso, però, non è terminato e bisogna risolvere ancora delle problematiche relative all’ambito della Strong Customer Authentication e, soprattutto, quelle relative alla comunicazione sicura tra prestatori di servizi di pagamento: questi ostacoli frenano la fruizione dei dati degli utenti, complicando l’uso dei dati da parte delle terze parti».

...saranno risolti con la PSD3

Il regolamento sulla autenticazione forte del cliente e sulla comunicazione dei dati «ha creato alcune lacune nell’ecosistema open banking – conferma Marie Johansson, Country Manager di Tink in Italia – che non saranno risolte fino al rilascio della PSD3. Gli AISP (Account Information Service Providers), ad esempio, sono tenuti a fare re-boarding di tutta la propria base cliente ogni 90 giorni. E l’EBA sa che è una questione aperta. Inoltre, sono state concesse esenzioni di fallback a un gran numero di banche e, infine, non è fornito un modello di incentivo che invogli le banche a creare API di alta qualità».

Collaborare per superare gli ostacoli

La mancanza di un modello di incentivi nella PSD2 è qualcosa a cui si può porre rimedio, «attraverso le collaborazioni di settore per l’Open finance – chiarisce Johansson. In questo le banche italiane sono state particolarmente brave. Per esempio, per supportare la fedeltà dei clienti, Intesa Sanpaolo sta collaborando con Amazon per convertire ciò che si risparmia in carte regalo. Queste partnership continueranno a proliferare man mano che il settore cercherà di creare valore all’interno di un’economia sempre più cashless e digitale. L’Open finance è una tappa imprescindibile nel viaggio verso il vero obiettivo: l’open data, che rappresenta il momento in cui ognuno potrà scegliere chi può accedere ai propri dati, finanziari e non».

L’open banking è solo uno strumento...

L’approccio delle banche deve però cambiare: serve un atteggiamento proattivo e bisogna guardare all’open banking come a uno strumento, e non un fine, per accelerare la trasformazione digitale. «La normativa ha già fatto molto, ora sta ai singoli operatori scegliere se porsi come soggetti attivi, e ripensare i propri modelli di business, o subirne passivamente le conseguenze – sottolinea Rattone. I gap esistenti non sono legati alla regolamentazione, dunque, ma a un approccio ancora non proattivo di molte banche. Ecco perché il nostro obiettivo è promuovere un cambio culturale e permettere alle banche di entrare in un ecosistema dove la cooperazione tra più attori consente di usufruire di strutture tecnologiche di terzi, mantenere sostenibili i costi di investimento e lavorare con dati a valore aggiunto già disponibili».

… per mettere il cliente al centro

Il grande rischio di un approccio passivo è perdere il cliente. «Le banche che non si aprono rischiano di essere inondate da richieste di accesso tramite l’interfaccia utente – precisa Johansson – e di danneggiare l’esperienza del cliente».

«Lo sviluppo della customer experience è quindi cruciale: una interfaccia utente semplice e fluida, facilita l’adozione di nuovi servizi – dichiara Natoli. La banca deve valorizzare la centralità del cliente e diventare il player di riferimento al centro di un sistema di partnership con soggetti terzi che aggregano e distribuiscono servizi ad alto valore tramite API».

Il cliente? Attore del cambiamento

La centralità del cliente è essenziale nel nuovo paradigma dell’Open finance. «Il cliente, entra nel processo di innovazione d’impresa insieme alle Università, alle startup, agli incubatori – prosegue Natoli – non come semplice “fornitore di consenso” al trattamento dei dati ma come “attore di cambiamento”: sulle sue esigenze, infatti, va costruita un’offerta di servizi su misura. Questo significa includere tutti i servizi finanziari, non solo quelli bancari di conto corrente o di pagamento ma anche quelli che riguardano la gestione dei patrimoni, l’intermediazione familiare, i servizi assicurativi, fino alla strong customer authentication».

«Per guadagnare la fiducia di un cliente non basta salvaguardare i suoi soldi – conclude Johansson – ma bisogna creare valore reale, offrendogli un servizio innovativo, gestendo una vera relazione e motivarlo nel scegliere una precisa banca, capace di metterlo al centro. Chi non si accorge di questo cambiamento, resterà per forza indietro».

 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di marzo 2022 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop