Più fiducia nel clima economico, ma poca negli investimenti
«Ci muoviamo in un mondo da elettrocardiogramma piatto», esordisce così Carlo Balzarini, Responsabile Marketing Italia di BlackRock e spiega come negli ultimi 5 anni i rendimenti dei tassi di interesse rasenti allo zero abbiano influenzato il sentiment degli italiani: perché nonostante la fiducia verso la ripresa economica sia migliorata rispetto al 2016 (dal 42% al 45%) la propensione a investire i propri risparmi è decisamente diminuita (dal 39% al 31%, contro una media europea del 39%). Le cause principali sono da imputarsi a ritorni sugli investimenti alquanto deludenti ma anche al timore di un aumento delle tasse, del costo della vita, di un reddito e di una pensione inadeguati e alla precarietà del posto di lavoro: elementi che portano gli italiani a custodire la loro liquidità nei conti correnti. E nonostante la grande preoccupazione per il futuro pensionistico, solo un italiano su cinque ha iniziato a risparmiare ma non più dell’8% del proprio patrimonio.
Investimenti solo nel breve periodo
«Un quarto degli italiani non sa dove destinare la liquidità – precisa Balzarini. Il cliente, colpito dalla crisi, ha tirato quindi i remi in barca. Nonostante una buona fetta di risparmi che potrebbero essere investiti, gli italiani preferiscono tenere in stallo la liquidità per far fronte a improvvise spese future. Tra chi non sta investendo, il 25% non ha intenzione di sottoscrivere alcun prodotto finanziario mentre il 54% lo farà solo se otterrà almeno un 10% di rendimento». Un ritorno alquanto difficile da soddisfare, soprattutto perché gli italiani che investono vogliono vedere un rendimento nel giro di 3-5 anni se non addirittura in meno di 2 anni.
ETF: non più così sconosciuti
Gli ETF sembrano gli strumenti più accattivanti e promettenti per gli investitori del Paese: solo il 5% li detiene al momento, ma tra chi li conosce (il 23%) più della metà è pronto a investire in questi strumenti. Soprattutto i Millennials, che di ETF hanno già sentito parlare e sono pronti a inserirli nei loro portafogli (80%).
Il gestore della banca è il consulente per eccellenza
Per investire gli italiani vogliono un consulente finanziario. La fiducia verso queste figure, che siano appartenenti al mondo bancario, alle reti di consulenza o siano private banker, è in aumento, tanto da portare l’Italia nel primato europeo per ricorso a un consulente. Il gestore in banca è la figura più apprezzata: il 59% degli italiani è affiancato dal consulente bancario e le masse in gestione hanno superato i 2mila miliardi nel mercato affluent; seguono il consulente finanziario appartenente alla rete (24%) e il private banker (11%), che raccolgono maggiore soddisfazione da parte della clientela grazie a migliori competenze rispetto al gestore della banca.
MiFID 2: chi pagherà le commissioni?
Per un servizio di consulenza negli investimenti, gli italiani sono anche pronti a pagare una commissione annuale che si aggira attorno all’1% (43%) e la percentuale sale al 60% tra i Millennials, che al momento non sono molto soddisfatti del servizio consulenziale offerto ma sono disposti a pagare fee dell’1,2% (la più alta tra le varie categorie).
Informarsi e investire online
Se non è il consulente a offrire preziosi aggiornamenti e suggerimenti sugli investimenti, gli italiani passano al fai-da-te: un terzo infatti trova le informazioni di interesse online e addirittura tre su cinque monitorano i propri investimenti nel web con scadenze settimanali o mensili, sia da pc sia da mobile. L’abitudine a internet convince inoltre il 45% degli italiani a investire attraverso una piattaforma digitale ma solo dopo aver parlato con il proprio consulente: questo migrare verso il digitale è d’altronde quasi fisiologico, grazie alle semplificazioni portate da firma grafometrica, firma digitale, contatti da remoto e anche robo4advisory. Peccato che si fermi solo a 8mila euro il patrimonio che gli italiani sono disposti a investire online. È ancora agli albori invece il robo advisory puro, che slega l’investitore dal consulente: in Italia è conosciuto dal 46% degli intervistati ma solo il 10% pensa di utilizzare “molto probabilmente” questo servizio il prossimo anno.