E anche il finance scopre la sostenibilità

“Sostenibilità” è diventata una delle parole d’ordine per la comunicazione finanziaria nelle ultime settimane. Che sia per l’effettotraino della COP21 di Parigi sul cambiamento climatico, proprio nell’anno in cui un super-Niño si è contraddistinto per il clima anomalo, o per un più graduale e storico processo di maturazione degli investitori, si moltiplica il numero di player finanziari e singoli prodotti che cercano di cavalcare il trend della “sostenibilità”. «Un termine la cui definizione per il settore finanziario è sempre stata un tema aperto – spiega Francesca Ussani, Programme and Communication Officer del Forum per la Finanza Sostenibile – in quanto si presta a una molteplicità di interpretazioni e approcci. Nato come investimento a carattere etico, nel tempo si è raffinato diventando una strategia che vuole creare valore per l’investitore e la società nel suo complesso, in un orizzonte di medio e lungo periodo, integrando l’analisi finanziaria con quella ambientale, sociale e di buon governo».

Sostenibilità news

Tre criteri per gli investimenti sostenibili e responsabili

La definizione sviluppata dal Forum nell’ambito di un Gruppo di Lavoro a cui hanno preso parte i suoi Soci e, più in generale, i principali attori della finanza sostenibile in Italia, sottolinea tre elementi:
• attraverso questa strategia si crea valore non solo per l’investitore ma anche per la società e per il pianeta;
• l’orizzonte temporale è di mediolungo periodo;
• nella valutazione degli emittenti, si integrano sistematicamente all’analisi finanziaria anche elementi extra finanziari: ambientali, sociali e di buon governo.
Un approccio che è ormai piuttosto comune a livello europeo, pur con significative differenze interpretative a seconda del gestore o investitore, da cui derivano strategie incentrate su un aspetto piuttosto che su un altro.

Chi decide che cosa è sostenibile

A valutare la sostenibilità di un’azienda o di un titolo sono agenzie di rating, dal funzionamento analogo a quelle finanziarie, «che analizzano gli aspetti ESG, acronimo di Environmental, Social e Governance – prosegue Ussani. Alcune di queste agenzie utilizzano metodologie proprietarie per le loro valutazioni, ma su molti indicatori c’è comunque un consenso piuttosto ampio tra gli operatori. Sicuramente ogni settore presenta proprie criticità e caratteristiche, basti pensare alle differenze tra Finance e Oil&Gas. La trasparenza è un tema chiave per il miglioramento di queste analisi: oggi le agenzie inviano questionari, intervistano le aziende anche incontrando i manager di persona, e utilizzano i documenti pubblici. La Direttiva europea che obbliga le aziende con più di 500 dipendenti a rendicontare le informazioni extra-finanziarie è un passo in avanti in questo senso e ne stiamo seguendo con attenzione il recepimento».

Ma la sostenibilità non impedisce le performance

L’integrazione dell’analisi ESG a quella finanziaria non è legata ad aspetti meramente filantropici, anzi. «Non solo la recente attualità ci conferma che il business delle imprese è impattato da criteri non connessi alla performance finanziaria – commenta Ussani – ma è ormai dimostrato da numerosi studi accademici che l’integrazione di criteri di sostenibilità nelle scelte di investimento garantisce rendimenti uguali o migliori rispetto alla semplice analisi finanziaria, permettendo una più efficace valutazione dei rischi e delle opportunità di investimento. Ovviamente, molto dipende dall’abilità del gestore del portafoglio. L’investimento sostenibile è inoltre applicabile trasversalmente alle varie asset class. Anche nell’investimento immobiliare, una valutazione che, oltre alla redditività potenziale, includa caratteristiche dell’immobile come l’efficientamento energetico, l’integrazione nella rete del trasporto pubblico, la gestione dei rifiuti e delle risorse idriche permette di scegliere un asset di maggior valore. Allo stesso modo, nel private equity, affiancare alla due diligence finanziaria anche una valutazione di aspetti ESG permette di liberare maggior valore dal business dell’impresa».

L’interesse degli investitori istituzionali

In Italia, la diffusione dell’investimento sostenibile e responsabile resta ancora limitata. Tuttavia, l’ultimo biennio ha comunque portato a una crescita del mercato e a un certo interesse tra gli operatori, soprattutto investitori istituzionali, fondi pensione e assicurazioni. Ad esempio il fondo Cometa, che lo scorso novembre ha promosso, insieme ad Assofondipensione e a 14 fondi pensione negoziali, un’iniziativa di dialogo per approfondire le tematiche della sostenibilità ambientale con un pool di banche internazionali. Oggetto del confronto: l’attenzione al problema del cambiamento climatico nelle politiche di finanziamento e nello stimolo dei comportamenti virtuosi. Un primo passo verso l’engagement dei fondi negoziali su tematiche come l’inclusione del rischio climatico nel processo di risk management, la quantificazione delle emissioni di anidride carbonica da parte dei clienti, la presenza di prodotti e servizi “green” per mitigare l’impatto. Al di là dei risultati, è il segno di una maggiore consapevolezza rispetto al passato. E molto si muove anche sul fronte degli investimenti retail offerti al risparmiatore privato: oltre a operatori specializzati come Etica SGR, ci sono nomi importanti del finance come AXA, Allianz, Credit Suisse, Azimut.

Alcuni nuovi prodotti retail

Sella Gestioni, ad esempio, ha presentato il fondo Investimenti Sostenibili, basato sull’impact investing: ai risultati finanziari vengono abbinati lo sviluppo ambientale e sociale, selezionando in modo attivo strumenti, società e progetti con un impatto positivo e misurabile in ambito come microfinanza, sviluppo ambientale e sociale in economie sviluppate o emergenti. Non a caso, Investimenti Sostenibili nasce da uno storico fondo etico, Nordfondo Etico Obbligazionario Misto, istituito nel 1999. UBI Pramerica SGR colloca invece la UBI SICAV Social 4 Future – classe A, comparto bilanciato obbligazionario che investe combinando criteri di esclusione degli emittenti in base ai rating di sostenibilità con criteri di selezione di aziende che intercettano i megatrend economici in atto. Una parte delle commissioni incassate viene poi devoluto a titolo di liberalità a progetti a elevato impatto sociale e ambientale. Per il primo anno, si parte con l’Unicef in Libano.

Sostenibilità e credit risk

Uscendo dal perimetro degli investimenti, gli indicatori ESG possono essere applicati anche in altri ambiti di valutazione dell’impresa. Banca Popolare di Milano, Intesa Sanpaolo e UBI Banca hanno partecipato a un progetto di ricerca per l’inclusione degli indicatori ESG nella valutazione del merito creditizio delle imprese. Sviluppato dall’Altis della Cattolica di Milano in collaborazione con il Doge dell’Università di Genova, il lavoro ha portato a una prima definizione di quattordici specifici indicatori, dalla salute alla sicurezza passando per legalità e certificazioni, per valutare il rischio potenziale di impresa non solo in base a patrimonio e flussi finanziari.

ETICI, CERTO. MA NON SOLO

La finanza sostenibile nasce da quella etica. E, in qualche modo, la supera. C’è il caso degli investimenti di matrice religiosa, che selezionano gli investimenti in base a criteri di ordine morale. Quello di chi, in pieno Apartheid, non voleva investire in imprese o titoli legati al Sud Africa. I primi fondi di investimento etico strutturati utilizzavano criteri di esclusione: tipicamente di settori come tabacco, armi, pornografia. Questa radice comune con la gamma dei prodotti etici, compresa la finanza islamica, si differenzia poi per l’adozione di criteri di inclusione, basati appunto su aspetti positivi, e su una proposta di valore non di ordine morale ma di responsabilità sociale nei confronti del mondo in cui viviamo. Capace di garantire, nel medio e lungo termine, una performance positiva in termini di rendimenti e di impatto sociale e ambientale.