GE Capital: contributo positivo dal private debt

PrivateDebt GE Capital

I fondi di debito contribuiranno al nuovo assetto del lending in Italia. Ne è convinta GE Capital, che ha promosso insieme a Deloitte Financial Advisors una analisi delle possibilità di sviluppo di questi strumenti in Italia.

Adatti a esigenze specifiche

Strumenti che, è la posizione di GE Capital, non dovrebbero entrare in conflitto né con la tradizionale relazione banca-impresa né con quella finanza strutturata in cui GE Capital identifica il proprio core business. Piuttosto, i fondi di debito risponderanno a esigenze specifiche, legate a operazioni nel breve termine di aziende in rapida espansione, che presentano un profilo di rischio elevato. E offrono, pertanto, un rendimento potenziale maggiore.

Il nuovo scenario del credito

«Lo scenario degli ultimi anni ha portato le banche verso una grande cautela nella gestione del credito – racconta Cataldo Conte, Underwriting Leader GE Capital – e di conseguenza le imprese sono andate alla ricerca di forme alternative di credito. Noi ci occupiamo di finanza strutturata, con un approccio relazionale che guarda al lungo periodo e ai progetti di sviluppo. Ma in determinati casi i fondi di debito si rivelano strumenti efficaci per finanziare operazioni con un rischio maggiore, magari in un mix con altre forme di finanziamento, anche strutturate».

Nel 2015 raccolta a 0,9 miliardi

Il credito bancario resta lo strumento ideale per aziende mid e large corporate, dai 20 milioni di fatturato a salire, che vogliono supportare le rispettive strategie di crescita. «Per i fondi di debito la discriminante principale resta la dimensione dell’impresa – prosegue Conte – insieme alla specificità del progetto da finanziare. In Italia l’offerta incomincia a crescere, con circa 26 fondi attivi, anche se nel 2015 il valore delle operazioni è di 0,9 miliardi di euro, ben lontano dal target di 5,5 miliardi dichiarato da AIFI».

Attenzione a Basilea III

L’importanza dei fondi di debito si inquadra meglio anche prendendo in esame il futuro impatto di Basilea III sull’erogazione di credito a imprese cronicamente sottocapitalizzate come quelle italiane. «Continuiamo a definire alternativi o innovativi strumenti che all’estero sono consolidati e molto diffusi – commenta Antonio Solinas, Amministratore Delegato di Deloitte Financial Advisors – ma tra qualche anno le regole renderanno molto costoso, per le banche, finanziarie alcune aziende. Dalla fine del 2012 in Italia ci sono state solo 18 operazioni, sul totale di 629 avvenute in Europa. Il mercato del private debt sta crescendo, differenziando le fonti di approvvigionamento delle aziende: l’83% delle operazioni si concentra nel nord Italia e il 69% in aziende oltre i 50 milioni di fatturato. Ma resta molta strada da fare rispetto al resto d’Europa».

Verso la managerializzazione dell’impresa

Anche perché i famosi minibond restano, per ora, un fenomeno marginale. Soprattutto per i costi necessari a fornire tutte le informazioni necessarie, particolarmente onerosi se confrontanti con l’importo delle emissioni. «Un ulteriore rischio legato all’entrata in vigore di Basilea III - conclude Conte – è che alcune aree geografiche restino scoperte dai servizi alternativi al credito bancario. Strumenti come finanza strutturata, private equity e private debt avranno invece l’impatto positivo di spingere alla managerializzazione dell’impresa, per avere interlocutori interni in grado di confrontarsi con investitori e finanziatori».