#DEFINE BANKING

AI generativa: a banche e assicurazioni serve una piattaforma di governance

AI generativa piattaforma di governance per banche e assicurazioni

Paolo Sironi, Global Research Leader, Banking and Financial Markets di IBM Institute for Business Value

L’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa nelle istituzioni finanziarie deve compiere un salto di qualità, verso una governance complessiva e strategica dell’innovazione.

È quello che emerge da uno studio dell’IBM Institute for Business Value, secondo cui le banche stanno per abbandonare la fase di sperimentazione per entrare in un fase più strategica e raffinata.

Abbiamo colto la palla al balzo per parlarne con Paolo Sironi, Global Research Leader, Banking and Financial Markets, in un episodio del nostro podcast #define banking, di cui questo articolo è un adattamento testuale.

banner episodi podcast

AG. Paolo, l’intelligenza artificiale per le banche non è certo una novità.

PS. IBM ha cominciato a studiare gli algoritmi negli anni ’50, per poi capire come metterli a scala. Oggi le capacità dell’AI sono effettivamente alla portata di un percorso di industrializzazione: le banche possono integrarla nei processi aziendali interni ed esterni.

Sta accelerando anche l’innovazione legata all’intelligenza artificiale, che dimostra sul campo che cosa sia una tecnologia esponenziale: è stata lanciata pubblicamente solo poco più di un paio di anni fa e sta entrando in scala rapidamente.

Questa velocità è un’opportunità ma è anche una problematica. Perché impone una capacità di gestione della tecnologia che deve essere sistematica. Non c’è spazio per il caso o la spontaneità. E questo favorisce le realtà aziendali che hanno una cultura sistematizzata e approfondita dell’innovazione e della creazione tecnologica. Che permette loro di avere maggiore capacità di controllo e di gestione di questa tecnologia.

AG. Una ricerca dell’Institute for Business Value di IBM rileva che solo l’8% delle banche ha realizzato un approccio sistematico alle soluzioni di intelligenza artificiale generativa, mentre il 78% ha ancora un approccio tattico. Come interpretiamo questo dato?

PS. Proviamo a definire quello che sta accadendo. L’intelligenza artificiale, in particolar modo quella generativa, può imprimere un profondo cambiamento del sistema produttivo, modificando il modo in cui creiamo valore. Ma in quanto tempo?

La storia dell’innovazione degli ultimi 300 anni ci mostra che ci sono stati momenti in cui il genio umano ha creato cose nuove, ma non si è potuto capitalizzarle immediatamente per aumentare la produttività.

Ad esempio, sono passati circa 100 anni tra l’invenzione del motore a vapore e il suo utilizzo massivo per la produzione. E ben 50 anni affinché la lampadina fosse presente in tutti gli edifici, trasformando il modo di vivere e lavorare. Il personal computer è stato inventato negli anni ’70 ma ha effettivamente impattato la produttività dopo 25 o 30 anni.

Insomma, ci vogliono delle precondizioni per realizzare il vantaggio di una innovazione: deve essere ampiamente disponibile ed essere sufficientemente flessibile per adattarsi a necessità diverse.

Ed è questo che sta accadendo oggi con l’intelligenza artificiale. Inventata negli anni ’50, oggi beneficia degli investimenti degli ultimi venti anni nelle infrastrutture cloud, che cambia il modo in cui accediamo ad altre tecnologie. Ed è diventata più flessibile con la creazione dei Large Language Models: si può fare il training di modelli in diverse aree e poi lavorare su use case molto differenti.

Le aziende, banche comprese, hanno bisogno di piattaforme per interagire con questo sviluppo tecnologico che trasforma profondamente il modo in cui lavoriamo.

Per questo abbiamo cercato di capire se le banche comprendono la necessità di avere una piattaforma strategica per approcciare l’AI generativa. E abbiamo scoperto che solo l’8% ha una strategia che sviluppa use case più o meno in tutti gli ambiti aziendali.

Il 78%, invece, ha un approccio tattico, cioè comincia da una singola business unit, vuoi perché ha del budget a disposizione, vuoi perché più sensibile al tema. Manca invece un investimento in piattaforme di governance della trasformazione del business. Questo farà la differenza tra le realtà che trarranno beneficio dall’AI e quelle che rischiano di non tenere il passo con lo sviluppo tecnologico.

AG. L’approccio tattico è anche legato a budget più limitati, come nel caso delle banche medie e piccole?

SP. Dipende. La nostra analisi ha riguardato 700 banche nel mondo, che hanno oltre 10 miliardi di total asset. Ci sono quindi anche realtà che definirei Tier 2 o Tier 3 e non c’è una corrispondenza così nitida tra dimensioni e approccio strategico.

La principale differenza è culturale: c’è chi comprende la necessità di una visione strategica e chi si limita a quella tattica. E la cultura non si inventa, deve partire dal board e scendere a cascata sul resto dell’azienda.

Ogni banker deve essere un risk manager, comprendere il contesto statistico e matematico di questa tecnologia per usarla consapevolmente in diversi ambiti aziendali, in funzione delle problematiche e del tipo di dati che si possiedono.

AG. Si sente spesso parlare di Agente AI: di che cosa si tratta?

PS. Per capire l’agentic AI devo immaginare un livello di automazione molto elevato. In passato, un processo veniva automatizzato con un set di regole deterministico dall’inizio alla fine.

Con la generative AI entriamo in un ambito probabilistico. L’algoritmo non prende delle decisioni in base a un set rigido di regole what/if, ma guarda al contesto dei dati di riferimento per valutare un discorso compiuto in base alla successione più probabile di termini.

Si passa quindi a un altro livello, in cui la tecnologia può prendere delle decisioni che non derivano da un set di regole predefinito, ma che si adattano di volta in volta al contesto di riferimento.

L’Agentic AI fa proprio questo: lascia che la tecnologia prenda delle decisioni e sia in grado di giustificare le sue scelte. Questo comporta, ovviamente, una serie di complessità operative e legali.

E questo ci porta alla necessità di avere una piattaforma di governance per fare risk management anche dell’Agentic AI, per capire nel continuo che cosa sta succedendo.

AG. L’automazione promette di abbassare il cost to serve in ambiti a oggi poco profittevoli, come la consulenza finanziaria per la clientela retail. L’intelligenza artificiale generativa può aiutare in questo senso?

PS. Dipende dal contenuto informativo. Lo sviluppo tecnologico delle banche ha vissuto tre fasi, negli ultimi 15 anni.

La prima è iniziata con la crisi finanziaria globale avviata dal fallimento di Lehman Brothers nel 2008. Parliamo di una fase di digitalizzazione tout court, dove la tecnologia serviva a risolvere la struttura dei costi, perché i profitti non erano più quelli del pre-crisi. In quel periodo nascono gli smartphone, l’accesso web e mobile alla banca e il cloud computing. Si ragiona su architetture nuove, per passare dalla filiale al sito web e poi alla app.

Così facendo, la banca ha cambiato il modo in cui comunicava con la clientela. Una app non ha lo stesso impatto rispetto a una filiale. Inizia così la fase 2, in cui la banca punta a migliorare il rapporto digitale con la clientela. Non si investe più solo in architetture ma si guarda a un’esperienza utente più semplice e intuitiva.

Ora, nella terza fase, le banche vogliono un’esperienza personalizzata, per gestire in modo diverso una comunicazione sempre più digitale. La AI generativa è particolarmente forte nel linguaggio, nella capacità di dialogare. Ed è quindi la protagonista di questa fase.

Alcuni clienti di IBM stanno già utilizzando la generative AI per trasformare il mondo del customer service, sicuramente più semplice dell’advisor. Molte richieste possono essere gestite autonomamente da un algoritmo, che inoltra il contatto a un supporto umano quando necessario. Questo consente di gestire grandi volumi di richieste, senza lunghe attese.

Altre realtà lavorano sul passo successivo, in cui l’Agentic AI si posiziona a supporto dell’operatore di filiale o del consulente, permettendo loro di avere delle conversazioni più contestualizzate col cliente. Servire le PMI, ad esempio, è costoso per una banca: i dati fiscali e finanziari sono molto meno strutturati rispetto a quelli delle grandi imprese.

Ogni volta che una banca parla con una piccola azienda, si trova davanti un contesto di riferimento diverso in termini di settore, generazione del cashflow e così via. Non si possono avere tutte le competenze in tutte le filiali. La generative AI può aiutare la forza vendita ad affiancare alle competenze professionali di base, sostanzialmente finanziarie, le conoscenze utili a servire il cliente impresa. Con un costo inferiore, che si traduce anche in migliori condizioni di credito.

Ci saranno anche dei casi in cui i clienti con maggiori capacità decisionali potranno interagire su temi complessi con un Agentic AI, ma credo saranno pochi. La banca resterà un business delle persone, perché per parlare di equilibrio finanziario di famiglie e imprese serve un rapporto di fiducia con un essere umano.

AG. Un altro dato che emerge dallo studio: il 60% dei CEO bancari si dichiara conscio di dovere accettare “un certo livello di rischio” per sfruttare i vantaggi dell’intelligenza artificiale. Quali sono questi rischi? E ci sono dei rischi che non abbiamo ancora compreso, o di cui al momento non conosciamo l’esistenza?

PS. La banca per sua natura si basa sulla gestione del rischio, ma sa anche cogliere le opportunità. La priorità non è digitalizzare, ma capire come cambiare il proprio modello per beneficiare del cambiamento tecnologico: sto parafrasando un discorso tenuto da Mario Draghi nel 2019, nella press room della BCE.

La tecnologia oggi va molto veloce e questa rapidità va gestita: come permettere al board di intraprendere azioni innovative, gestendo il rischio legato a queste azioni?

Per questo serve una piattaforma di governance del processo di innovazione, che affronti sia i rischi noti sia quelli nuovi. Ad esempio, la proprietà intellettuale dei dati utilizzati, che iniziano a essere anche esterni.

Credo comunque che, tutto sommato, non ci siano dei rischi non noti. C’è, piuttosto, la necessità di avere le competenze tecniche per gestire questi rischi non in modo locale, tattico, ma distribuito e parte del patrimonio aziendale.